CORRERE al pronto soccorso più vicino a casa, magari di domenica sera, con un bambino piccolo che piange inconsolabile e un’attesa infinita, è un’esperienza angosciante per i genitori. Gli accessi pediatrici nei pronto soccorso italiani sono troppi: più di 5 milioni l’anno, dato in costante crescita negli ultimi trent’anni. Un bambino su due ha meno di due anni. La quasi totalità dei piccoli arriva senza aver prima interpellato un medico; un 5-8% entra con il 118, di solito per traumi gravi, oppure è inviato da altri ospedali. I giorni prefestivi e festivi quelli ad alto rischio. La questione più allarmante è che solo una minima parte degli accessi pediatrici è appropriata, ossia necessita veramente dell’intervento degli operatori sanitari di un pronto soccorso.
«Spesso i genitori arrivano al pronto soccorso suonando il clacson – racconta Antonino Reale, responsabile Uoc Pediatria dell’emergenza dell’ospedale pediatrico romano Bambino Gesù - poiché percepiscono come urgente la patologia del proprio figlio.
Per fortuna, su oltre 200 accessi al giorno, i casi più severi, con codice rosso o giallo, sono il 15% e la priorità d’accesso alle cure viene attribuita da infermieri esperti triagisti. In assoluto la causa più frequente è la febbre che, se è vero che può essere associata a malattie anche gravi, come meningiti, patologie oncoematologiche o malattie immunitarie, nella maggior parte dei casi, per fortuna, si associa a malattie dell’apparato respiratorio quali faringiti, tonsilliti, otiti, bronchiti, polmoniti. Una frequente domanda dei genitori è come capire quando la febbre è segno di patologia grave. Bisogna imparare a valutare le condizioni generali del bambino, se sono buone, si alimenta, gioca, cammina, parla normalmente, non siamo di fronte ad un’urgenza e ci si può rivolgere al pediatra di famiglia. Diversamente bisogna andare al pronto soccorso. Le convulsioni febbrili semplici, di cui soffre il 3% dei bambini e così temute dai genitori, si risolvono di norma senza alcuna conseguenza, tendendo a regredire completamente verso i 5 anni. La traumatologia, dopo la febbre, è la seconda causa d’accesso in pronto soccorso. Un’attenzione particolare la meritano i traumi cranici. Noi ne vediamo circa 2500 all’anno ma, tra questi, i più gravi sono poche decine. Come succede per la febbre, può essere difficile capire quali bambini devono essere condotti d’urgenza in Ps.
Contrariamente a quanto si crede, i bambini non sono di gomma e vanno incontro più frequentemente degli adulti a lesioni cerebrali. Che cosa fare? Se il trauma cranico è stato di entità molto lieve, i genitori potranno osservare il bambino e valutare che non abbia segni d’allarme di lesione intracranica, quali disturbi del comportamento, alterazioni neurologiche, cefalea, vomito; potrà essere regolarmente alimentato e messo a letto negli orari abituali, ma di notte bisognerà verificare che abbia un sonno tranquillo e sia reattivo se stimolato. In tutti glialtri casi il bambino andrà sempre valutato da un pediatra».
Ci si può chiedere come mai i genitori facciano tanto uso del pronto soccorso. Una spiegazione, dicono i pediatri, è l’ansia eccessiva, la solitudine della coppia e l’esasperata attesa di salute del proprio figlio. A contribuire la gratuità delle cure, l’accesso 24 ore su 24, la carenza della continuità assistenziale sul territorio. «In realtà i codici gialli e rossi, quelli dell’urgenza-emergenza, rappresentano il 10-13% del totale – precisa Antonio Urbino, presidente nazionale della Società italiana di medicina dell’emergenza e urgenza pediatrica (Simeup) e direttore di Struttura complessa di pediatria all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino - mentre il grosso degli interventi è rappresentato dai codici verdi, le urgenze che in fase di triage vengono considerate minori. Solo la metà dei codici verdi è appropriata, cioè merita un approfondimento e una terapia in Pronto Soccorso o come prescrizione».
Altro problema è il non corretto utilizzo del pediatra di famiglia e così il pronto soccorso si trasforma in una sorta di ambulatorio. La Simeup ha chiarito che è invece una struttura che serve a fornire la prima assistenza ai bambini che necessitano di un approccio diagnostico-terapeutico urgente. Non è un ambulatorio pediatrico, non sostituisce il pediatra di famiglia, che bisogna consultare sempre, non è un ambulatorio polispecialistico, non è la struttura dove curare malattie croniche e nemmeno il luogo dove ottenere certificazioni e ricette.
Altro nodo da affrontare è quello della formazione e dell’organizzazione. Le quasi 450 strutture complesse di pediatria italiane si rapportano in modi diversi dal punto di vista organizzativo. Intanto i pronto soccorso dei grandi ospedali pediatrici visitano quasi mezzo milione di bambini all’anno, il 10% degli accessi totali. La quota restante viene smistata negli ospedali generalisti o nei pronto soccorso funzionali. Un’indagine della Commissione Ps della Simeup, coordinata dal pediatra Riccardo Borea, evidenzia che il 75% dei bambini è smistato nei livelli di triage in prima battuta da infermieri degli adulti, solo il 21% da un infermiere esperto in Ps pediatrico. Meno di un infermiere su due (42%) dei pronto soccorso generalisti dedicati al triage dei più piccoli è formato adeguatamente. Circa l’80% dei bambini è accolto in locali non adatti alle fasce pediatriche e solo il 33% dei Ps pediatrici dispone di una Osservazione Breve Intensiva (OBI), un modulo organizzativo che permette di ridurre i ricoveri impropri.
Da la Repubblica del 14 Luglio 2015